Quali sono le vere trasformazioni della nostra organizzazione sociale? Che impatto hanno sul lavoro e sulla nostra vita?
Oggi abbiamo un’esigenza di smart working vero, cioè di una più matura cultura del lavoro. 

Il lavoro agile è una enorme opportunità. Per le persone, perché consente di conciliare il lavoro con le esigenze familiari; e per le aziende, perché permette di aumentare la produttività.
Dobbiamo essere liberi di gestire responsabilmente il nostro tempo e ciò ha senso per le imprese perché è una leva di sostenibilità e miglioramento dei risultati. Ma richiede un cambiamento tuttora difficile da accettare perchè l’organizzazione è qualcosa che non appartiene a tutti. 

Tante cose sono cambiate negli ultimi anni, ma non il fatto che dove e quando lavorare resta una scelta rigida fuori delle responsabilità individuali. E questo va bene a molti, anche tra i lavoratori: organizzarsi in autonomia, tenendo conto degli obiettivi e delle compatibilità comuni, e assumersi la responsabilità dei risultati non è un impegno facile da sostenere. 
Il lavoro agile è la rottura delle barriere di spazio e tempo, è conciliazione di esigenze e interessi, richiede decisioni organizzative, al tempo stesso del lavoratore e della struttura in cui opera, che implicano una trasformazione culturale nel management e nei collaboratori. 

Se vogliamo cogliere questa opportunità dobbiamo diffondere skill di tipo diverso da quelle su cui si è lavorato fino a ieri. Nuove competenze manageriali, dello sviluppo di sé, di gestione autonoma del lavoro, delle relazioni e dei feed-back devono oggi caratterizzare la formazione diffusa e sinergica in tutti i ruoli aziendali.


I cambiamenti che la pandemia ha impresso alla nostra vita quotidiana, le restrizioni e gli obblighi che sono stati imposti per contrastarla e le tante manifestazioni di insofferenza che questi provvedimenti hanno provocato ci offrono l’occasione di riflettere su una parola il cui significato è tutt’altro che scontato: libertà.

Perlopiù l’intendiamo come un valore definibile solo in modo negativo. Libertà da un potere che ci limita e ci condiziona dall’esterno: un’oppressione nazionale o sociale, un sistema politico ed economico prevaricante, pregiudizi religiosi e culturali, istituzioni e personalità autoritarie, anche in famiglia e nelle relazioni personali. È una concezione naturale nell’adolescenza, quando usciamo dal guscio protettivo dell’infanzia e, carichi di desiderio, affrontiamo il duro tirocinio delle pressioni, dei divieti, del continuo giudizio in cui consiste l’adattamento alle regole del mondo. Poeti, psicologi, filosofi hanno spesso tematizzato la libertà come posta in gioco nel contrasto tra vitalità originaria e carattere normativo-disciplinare dell’organizzazione sociale.
In realtà ogni definizione della libertà è un modo di concepire l’essere umano. Quella che si basa sul conflitto tra soggettività e strutture sociali dimentica che l’uomo non è mai vissuto al di fuori di più o meno complesse organizzazioni, e che queste non agiscono come vincoli esterni. Noi siamo biologicamente esseri sociali. Il nostro corpo, la nostra mente, i nostri comportamenti, i nostri stessi desideri si sono modellati nel lungo corso dell’evoluzione sociale. E la stessa idea di libertà, con tutto il carico di aspirazioni che l’hanno resa protagonista degli ultimi secoli della nostra storia, è il prodotto di questa evoluzione.
Ciò significa che la libertà non consiste nell’assenza di vincoli. La nostra società attuale è molto più strutturata di quelle, antiche e moderne, oppresse da poteri assoluti e irrispettose dei diritti umani. Più strutturata significa con molte più regole, responsabilità, obblighi e divieti. Regole, responsabilità, obblighi e divieti senza i quali non è possibile definire ed esercitare i nostri diritti di cittadini.

Un esempio. L’obbligo scolastico è solo una limitazione della libertà (e certamente in qualche misura lo è) o anche e prevalentemente una condizione per l’attuazione del nostro diritto alla conoscenza e alla mobilità sociale? Allo stesso modo dovremmo considerare le restrizioni e gli obblighi per contrastare la pandemia: scelte finalizzate a garantire, di fronte alle minacce del contagio, non solo la sicurezza ma la massima libertà possibile per le persone e per le attività produttive.

Ognuno di noi è libero quando la società garantisce la libertà di tutti. Non per assenza di vincoli, cioè di leggi morali e giuridiche e di poteri necessari ad attuarle, ma per il modo con cui tali vincoli si formano e si esercitano, e per lo scopo che perseguono. Uno scopo che, nelle costituzioni democratiche, coincide comunemente con la realizzazione dei diritti dell’uomo.

La libertà, in questo modo, si definisce positivamente. C’è una bellissima espressione della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, mai ripresa in alcuna costituzione europea, che mette sullo stesso piano del diritto alla vita e alla libertà il diritto di tutti gli uomini al perseguimento della felicità. Che cosa significa? Che ogni essere umano aspira alla piena realizzazione di sè, e che libero e civile è l’ordinamento che non solo tutela questo diritto, impedendo le prevaricazioni, ma genera le condizioni perché si possa attuare nel concreto contesto delle condizioni economiche, sociali, culturali.


Filosofia di gestione aziendale nata nel contesto Toyota per l’ottimizzazione dei processi. Fare più con meno, snellire, dare valore alle poche risorse disponibili, modello just in time sono alcuni dei concetti collegati.

In occidente il lean thinking si concentra sul coinvolgimento attivo delle fasce non manageriali dell’azienda con l’obiettivo di far partire dal basso idee, iniziative e progetti. I programmi lean aiutano a consolidare i team – anche in situazioni di fragilità aziendale – trovare soluzioni alternative, risolvere wicked problems raggiungendo, insieme, il proprio massimo risultato.