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I wicked problems sono problemi contorti, difficili da definire e apparentemente irrisolvibili, legati al contesto sociale o culturale di una realtà. La definizione è datata 1973 quando il design theorist la coniò nella sua pubblicazione “Dilemmas in a General Theory of Planning”.

Mancanza di una conoscenza completa o contraddittoria, un numero troppo ampio di persone coinvolte, un considerevole impatto economico e l’interconnessione con altre questioni altrettando complicate. Sostenibilità, povertà, fame nel mondo, calamità naturali sono tutti esempi di wicked problems. Uno dei wicked problems che sta avendo un impatto importante anche sul contesto professionale è l’epidemia da Covid-19 dove convivono la scarsa e confusa conoscenza sulla materia e sulle relative evoluzioni insieme all’impossibilità di risolvere tutte le parti legate al problema o di strutturare interventi di lungo periodo ma solo soluzioni “one shot”.

Il design thinking inteviene frequentemente nel tentativo di risoluzione di alcune parti dei wicked problems grazie ad approcci che integrano empatia, pensiero laterale e coinvolgimento di professionalità diverse.


Termine giapponese (iki-vivere, gai-ragione) che si traduce letteralmente con scopo di vita. Si tratta, dicono gli abitanti di Okinawa, della forza vitale che ci permette di alzarci dal letto la mattina.

Chiunque, secondo tale filosofia di pensiero, ha il proprio ikigai ma non tutti ne sono a conoscenza o perché tale significato non è mai stato ricercato o perché non se ne ha ancora chiarezza.

Per i responsabili HR conoscere l’ikigai delle persone in azienda significa capire chi e in quale ruolo, momento e contesto andare a coinvolgere, quale sia il suo centro e quali iniziative di benessere e formazione mettere in campo per equilibrare il centro dei dipendenti con quello aziendale.